venerdì 15 giugno 2012

They asked for it

N.B. IL POST CHE SEGUE PRESENTA CONTENUTI ESPLICITI, NON ADATTI A LETTORI PARTICOLARMENTE SENSIBILI E RAGAZZI/E SOTTO I 13 ANNI.

Di solito i miei post li scrivo di getto, mettendo il caos che ho dentro in bella mostra, con tutte le sue imperfezioni ed irrazionalità. Ma questa volta no, sarò seria.
C'è una frase che viene detta spesso, a cuor leggero, da uomini o donne. Una frase che ormai è luogo comune e per questo ancora più pericolosa; molti la credono inoffensiva, bonaria, in realtà nasconde abissi di crudeltà.
"Se ti vesti così non ti lamentare quando ti fanno delle avances".
A tutte le ragazze è capitata di sentirla almeno una volta. Quello che non si sente, almeno non a primo impatto e tutto quello che c'è dietro. Ovvero il solito concetto: se una viene violentata/molestata/infastidita deve essersela cercata. Molta gente neanche lo ammette, è un'idea così radicata e subdola che sta acquattata in un angolo, che avvelena la mente.
Molte vittime di stupro o molestie confessano (se rivelano mai nella loro vita di aver subito molestie o violenze: in Italia la percentuali di stupri non denunciati si aggira intorno al 90%) di sentire la pressione ed il giudizio di chi le circonda. Il "se l'è cercata", oltre ad essere retrogrado ed umiliante, è fondamentalmente inutile ed ingiusto. Dopo una violenza, una molestia, ma anche uno sguardo troppo pesante, a cosa può servire addossare tutta la colpa alla donna, ragazza, bambina o bambino? Chi è schiavo del "se l'è cercata" non fa altro che mettersi dalla parte del molestatore, violentatore. "L'uomo si sa, è bestia, se poi tu vai in giro mezza nuda che pretendi?", "Colpa tua, che l'avrai provocato", "Spero tu abbia imparato a non vestirti da zoccola". E poi le frasi dei violentatori. Basta fare un giro sul sito del progetto Unbreakable* per capire una cosa: la maggior parte delle frasi ruota attorno al concetto di colpa della vittima. "Non fossi stata così carina", "Non ti fossi fidata di me", "Come pensavi mi sarei potuto fermare con un seno come il tuo?". Si può veramente pensare che la colpa sia della vittima?  Ed a livello ancora più infido e gretto, il "she asked for it" può portare a creare una spirale senza fine, in un crescendo di intolleranza e paura. Perché le donne, a sentire chi è pronto a puntare il dito, devono vivere nella paura e lasciarsi condizionare da essa. 
Ho letto una cosa agghiacciante: il "Vademecum per la tua sicurezza", realizzato a Roma. Nella maggioranza dei suoi punti si può dire che risulterebbe utile, ci sono comunque consigli utili di buon senso e felice ispirazione. Sono tre, però, i punti che mi hanno ghiacciato il sangue nelle vene.
Pagina 17, sotto le regole per andare sicure a piedi in un quartiere isolato : 
  • Se hai già previsto di rientrare la sera da sola, non indossare abiti 
vistosi o gioielli, tieni il cellulare e i documenti in tasca invece che in borsa.
Pagina 19, regole per la sicurezza sui mezzi:
• Non indossare vestiti particolarmente appariscenti se prendi la 
metro di sera da sola e se puoi evita di portare con te la borsa. 

NON INDOSSARE ABITI VISTOSI
NON INDOSSARE ABITI VISTOSI
NON INDOSSARE ABITI VISTOSI 

Ovvero sii modesta, moderata, china il capo, sta al tuo posto, perchè questo è un Paese libero ma non per tutti. Un Paese dove se una donna stuprata indossa dei jeans, beh, non può essere stupro, perchè il jeans  

non si può sfilare nemmeno in parte senza la fattiva collaborazione di chi lo porta

 è un dato di comune esperienza



Non è una frase sentita in giro per caso. Si tratta della sentenza numero 1636 della Cassazione, del 1999.
Ricapitolando: se ci si veste da troie è colpa nostra, se si è vestite normalmente evidentemente non è stupro. Si tratta dell'eterno binomio Santa-Puttana. Eppure alla fine è sempre colpa della vittima.
C'è un movimento nato a Toronto nel 2011. Vi rimando alla pagina di  Wikipedia sulla SlutWalk. 
Da che parte sto io? Cosa pretendo con questo post?
Io sono dalla parte della libertà. Sono per un mondo senza etichette, senza limitazioni. Perché se io mi voglio mettere una minigonna devo poterlo fare senza il timore di essere palpata sull'autobus. Perché se voglio uscire la sera o faccio orari tardi all'università, non devo rientrare nel terrore che mi succeda qualcosa. Perché  in caso qualcosa mi succeda, non voglio sentirmi in colpa. Perché la libertà si misura anche nella misura in cui la vittima viene colpevolizzata.
Non so se in Italia o in qualsiasi altro posto nel mondo si realizzerà mai un'idilliaca visione di questo genere. 
Le donne potranno diventare capi di stato, scienziate, astronauti, tutto e di più, ma fino a quando saranno individuate come vittime designate, addirittura come COMPLICI in qualche modo, beh, tanto vale fossero rimaste a lavare piatti e padelle**.
Non se ne parla mai abbastanza, temo. Giornata mondiale contro la violenza sulla donna, grandi applausi, foto condivise e link di Facebook, parole, parole, parole. Ma fatti concreti per cambiare la mentalità, di quelli zero.
La cosa più brutta è che le vittime non sono solo le donne: ci sono altre violenze sessuali, quelle sugli uomini, sui bambini, ci sono addirittura donne che perpetuano violenze, non sto cercando di santificare la categoria.
La verità, la terribile verità, è che la gente non può perdonare alle vittime di essere state sopraffatte.

                                                                                     Midori
* Non consiglio alle persone troppo sensibili di leggere. Quando ho finito di preparare questo intervento sono andata a vomitare. Per avere comunque un'idea generale, ecco il video di presentazione del progetto:

**Non vuole essere un insulto a quelle donne che hanno scelto di dedicare la loro vita alla famiglia ed alla casa. Vuole essere un'immagine topica riferita alla condizione tipo che, fino a settant'anni fa, era imposta alle donne, volenti o nolenti che fossero.

2 commenti:

  1. Quando ho letto "Pagina 17" mi sono sentito un po' in colpa: "Chissà che avrò scritto?" Ahahah, poi mi sono ricordato che ogni libro ha una pagina diciassette e non è solo il titolo del mio blog.
    Comunque bel post, davvero. Sono d'accordo con te. Tra l'altro non ricordavo per niente quella sentenza della Cassazione!

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  2. Io ieri sera non ho accompagnato Il Guaio alla fermata sotto casa mia, perchè erano le 23 e sarei dovuta risalire da sola e una ragazza è meglio che eviti, anche in una zona bene come la mia.
    Basterebbe non vestirsi in maniera provocante? E chi lo stabilisce cosa è provocante e cosa no? Di commenti ne ho ricevuti tanti, soprattutto quando ero convinta di essere vestita bene, non di essere provocante. La minigonna attira, ma anche il tailleur. O forse sono i tacchi? O sarà il rossetto? O sarà... o sarà che, come dici tu, c'è qualcosa di sbagliato e, purtroppo, profondamente radicato nel modo di guardare la donna, chiunque essa sia e qualunque cosa essa faccia?
    Io credo che il problema di fondo sia che è più facile scaricare la colpa sulla vittima piuttosto che ammettere l'esistenza nell'essere umano di una tale brutalità come quella che spinge il carnefice ad agire. E questo vale per chiunque sia la vittima e chiunque sia il carnefice.

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