sabato 30 marzo 2013

Ma gli androidi sognano pecore elettriche?

Tornare a casa e uscire in piazza, la prima sera, è sempre un grande shock: anche se sono abituata a una burinaggine che sa essere tutta romana, la grezzaggine di certi elementi di questo posto neanche troppo dimenticato da Dio (oserei dire "per niente dimenticato da Dio") che molto spesso sfocia nella pottinaggine più manifesta, mi colpisce sempre. 
Io ormai sono abituata a un altro tipo di giri, di comportamenti, di serate.
E poi cerco sempre il mio ex, se c'è, dov'è. Per fortuna, non c'è mai, e dopo una birra mi dimentico.
In realtà è uno straniamento che dura solo la prima serata di casa, quella che mi ributta nel mondo da cui sono venuta, e che mi fa capire perché me ne sono andata. E' una sensazione passeggera, così come è arrivata sparisce, e anche in fretta.
Mi faccio i miei soliti giri, un amaro al bancone del bar dal barista per cui ho un debole, e prendo atto che quelli che conosco sono sempre meno, o meglio, sono sempre gli stessi, mentre aumentano i nuovi, che poi tanto nuovi non sono, sono i bambini di ieri, quelli che quando la sera uscivo io rientravano a casa alle 10. E io adesso vado fuori non prima delle 10 e mezza.
Ma è il giusto scorrere del tempo e delle cose: in compenso, adesso c'è da socializzare con gli amici di Mario, e non è roba da poco inserirsi, anche solo di vista, in un gruppo già formato, con i suoi equilibri e le sue anomalie.
Però fa sempre un certo effetto (positivo) trovare qualcuno che conosca Blade Runner ed esser sfidata a chi ne sa di più -una sorta di gioco a trabocchetto, per vedere chi è l'alpha degno di parlarne, chi è l'esperto-. Ovviamente io, che in queste cose, per principio, non perdo mai (Midori ha ragione, sono troppo competitiva).
E così di punto in bianco penso agli androidi, se anche loro sognano pecore elettriche, e a che ne sarà di noi, del nostro futuro, delle nostre idee.

Ma a un androide non si può far niente, perché se ne strafregano

Alex V

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